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COFFEE BREAK QUANTISTICO

Il Presidente I.B.A. Dott. Sgalambro incontra il fisico Amit Goswami


Il Presidente dell’Istituto di Bioquantica Applicata Dott. Valerio Sgalambro con il celebre fisico quantistico teorico di fama mondiale Prof. Amit Goswami, fondatore del Movimento Scientifico Quantum Activism e del Center for Quantum Activism (USA). È stato Professore Ordi­nario presso il Dipartimento di Fisica dell’Università dell’Oregon dal 1968 al 1997. Amit Goswami ha scritto vari libri pubblicati in tutto il mondo, sul tema della fisica quantistica, della mente non locale e della spiritualità. Riportiamo un riepilogato di un’intervista in merito al suo ultimo film documentario The quantum activist da parte di Marianna Gualazzi tratta da “Scienza e Conoscenza n. 32”:


…" lei parla di scienza materialistica e scienza della consapevolezza. Che cos’è per lei la “scienza materialistica” e quali sono i suoi limiti?

In realtà, ciò che critico è la metafisica. La scienza materialista, oggi come oggi, ci ha dato una tecnologia meravigliosa. Nessuno può negare i vantaggi che la scienza materialista ci ha dato, a partire dalla luce elettrica per arrivare a internet. Apprezzo molto tutte queste cose. Non ho alcun rimprovero da muovere a nessuno dei padri della scienza materialista: Newton, Einstein, Heisenberg, Schulsinger.

Questi sono nomi insigni che io venero, letteralmente. Il punto non è questo. Il punto è che la scienza materialista, a partire dagli anni Cinquanta, ha cominciato ad adottare un particolare tipo di metafisica dalla quale poi non si è più staccata. L’adozione di questa metafisica è inutile, perché la scienza non si deve fissare su una metafisica, fino a quando non è totalmente certa. La metafisica deve necessariamente essere priva di paradossi. La scienza che opera usando l’attuale concezione del mondo, la metafisica di cui sto parlando, la chiamo scienza materialista. Tale concezione del mondo, non necessaria, è la seguente: ogni cosa è composta di materia.

Sarebbe stato molto meglio definire questa scienza semplicemente come la scienza del mondo materiale, invece si è voluto a tutti i costi sostenere che non solo avevamo sviluppato la scienza del mondo materiale, ma che quest’ultimo era tutto ciò che esisteva, benché la fisica quantistica ci stesse già offrendo un grande paradosso: secondo la fisica quantica (che è la scienza del mondo materiale, la scienza estrema del mondo materiale) gli oggetti non sono altro che possibilità. E le interazioni materiali non possono mai trasformare queste possibilità in oggetti tangibili. Le interazioni materiali possono solo trasformare le possibilità in altre possibilità. Dunque, se abbiamo solo la materia e niente altro, è impossibile superare il paradosso quantico della misurazione: in che modo la nostra misurazione od osservazione crea le possibilità, trasforma alcune possibilità negli eventi concreti della nostra esperienza.

Questo paradosso era già noto.

Ma c’era un altro paradosso: quello della percezione. In tutte le percezioni, noi non percepiamo soltanto gli oggetti, ma anche il nostro essere dei soggetti. Il filosofo David Chalmers ha fatto notare – e in questo è stato bravissimo – che partendo dagli oggetti, possiamo sempre e solo spiegare altri oggetti. Non possiamo mai spiegare il soggetto. Dunque, questa scissione soggetto/oggetto, presente all’interno di tutte le percezioni ordinarie, resta un notevole paradosso del materialismo scientifico.

Esistono però molti altri paradossi del genere. Per esempio: come distinguere la vita dalla non-vita, l’inconscio dal conscio.


Signor Goswami, cos’è la scienza basata sulla consapevolezza? Quali ne sono le origini e cosa c’è di nuovo in essa?

Le origini, ovviamente, vanno ricercate nel mutamento, richiesto da tutto il mondo, nel nostro modo di fare scienza. Oggi come oggi, infatti, facciamo scienza partendo da una metafisica materialista secondo la quale la materia è il fondamento di tutto l’essere. Ciò non solo impedisce alla consapevolezza e alla spiritualità di essere forze trainanti della nostra società e della nostra vita, ma relega in secondo piano le arti e le discipline umanistiche.

Ciò non è ammissibile. Se davvero tutte le cause risalissero alle particelle elementari e alle loro interazioni, non avremmo il libero arbitrio, ma quest’ultimo è evidente in tutto ciò che facciamo, nella nostra creatività e nell’agire stesso degli scienziati. Einstein non avrebbe mai scoperto la Teoria della Relatività se fosse stato solo una macchina materiale. Quindi, la mia domanda è: “Perché non nutriamo un po’ di sano scetticismo verso questa filosofia?”. È incredibile, per me, che tutte quelle persone intelligenti capaci di costruire grandi acceleratori e condurre ricerche, diciamo così, avventurose, non nutrano poi il minimo dubbio sulla loro metafisica di base, secondo la quale tutto è solo e unicamente materia. La mente, la consapevolezza, non sono altro che epifenomeni del cervello. Se davvero fossimo fatti in questo modo, non esisterebbe il libero arbitrio, la libertà di dare un nuovo significato alle cose.

In alte parole, non avremmo alcuna creatività. La creatività è la scoperta di un significato nuovo, di un contesto inedito all’interno del quale assegnare nuovi significati. Ma se è impossibile elaborare significati, non esiste nulla di simile alla creatività. Roger Penrose ha dimostrato che il processo del significato non può essere svolto dalla materia, dal computer. Per cui, l’attuale concezione del mondo esclude il significato, ma anche il sentimento, perché quest’ultimo non può essere computato. Essa permette solo il pensiero computabile, la materia e la percezione.

Quindi, delle nostre quattro possibili esperienze – percezione, sentimento, pensiero e intuizione – due sono tagliate fuori, e se escludiamo anche la possibilità di creare significati nuovi, ci restano soltanto un’esperienza e mezza: la percezione e la parte computabile del pensiero. Che genere di immagine di noi stessi ricaviamo da tale tipo di scienza? Per questo, io sono dell’opinione che dobbiamo cambiare. Dobbiamo porre la nuova concezione della consapevolezza mondiale alla base di tutto l’essere, perché la fisica quantistica ci insegna ad includere tutte e quattro queste esperienze. La fisica quantistica semplicemente afferma che se la materia consiste in possibilità di consapevolezza, allora anche la mente, le energie vitali che percepiamo e gli archetipi che intuiamo possono rientrare tra le possibilità della consapevolezza, e se qualcuno solleva l’obiezione del dualismo, la mia risposta è molto semplice: qual è il mediatore tra la mente e la materia?

La consapevolezza. E in che modo si attua questa mediazione? Tramite la comunicazione non-locale, una comunicazione che non richiede segnali, perché essi fanno tutti parte della consapevolezza stessa. La consapevolezza interagisce con se stessa. Non richiede segnali locali, per cui non viene violata nessuna legge fisica.


Perché la scienza basata sulla consapevolezza funziona? C’è qualche fenomeno che la scienza tradizionale non sa spiegare e che invece diventa chiaro alla luce della scienza basata sulla consapevolezza? Ci sono dei fenomeni molto particolari che non potranno mai essere spiegati dalla scienza basata sulla materia. Si tratta di fenomeni che postulano la non-località, la comunicazione senza segnali, la discontinuità, il salto quantico che fa a meno delle fasi intermedie e la gerarchia complicata (un tipo di gerarchia di livelli così elaborata da rendere inevitabile una discontinuità).

Questo sistema va considerato un tutt’uno a cui non si può pervenire mediante il processo razionale, la sintesi dai substrati di base. Mi lasci fare degli esempi. La non-località è stata ormai oggetto di molti e diversi esperimenti, il migliore (e l’ultimo) dei quali è quello sul potenziale di trasferimento. L’attività elettrica viene trasferita da un cervello a un altro senza alcun contatto elettrico. Ebbene, questo esperimento è stato ripetuto da cinque gruppi diversi in altrettanti laboratori sparsi per il mondo. Dunque, le probabilità che sia corretto sono molto elevate. Ci troviamo di fronte, a livello materiale, a una connessione non-locale tra due persone. Poi c’è la discontinuità. Le dirò che è la nostra stessa creatività a essere caratterizzata da questo salto quantico discontinuo. Esso fa parte del processo creativo, come è stato accertato dalle ricerche sull’argomento che vengono condotte ormai da un centinaio di anni.

Non solo: disponiamo anche di dati oggettivi, perché esiste la guarigione quantica, la guarigione che ha luogo spontaneamente senza alcun intervento medico. È noto che ci sono stati casi di tumori spariti in una sola notte. Non esiste altra spiegazione di questo fenomeno che la guarigione quantica, ovvero un salto quantico, all’interno del processo di pensiero, che ha rimosso un blocco emotivo, liberando così profondamente il movimento dell’energia che l’intero sistema immunitario è tornato a funzionare correttamente. In tal modo, un tumore può sparire nell’arco di una sola notte.

Questi processi postulano, ancora una volta, l’idea della discontinuità in modo così convincente che non abbiamo altra scelta che accettare la nuova concezione, dal momento che quella vecchia (il materialismo) ha un grosso difetto: le interazioni materiali non possono mai simulare la discontinuità. Esse sono continue.

Veniamo infine alla gerarchia complicata. Qui desidero lanciare ai materialisti una sfida: due teoremi dell’impossibilità. Il primo teorema è che è impossibile costruire una cellula vivente partendo dalle componenti di base, le molecole. In altre parole, non si può costruire una cellula vivente perché è fondamentalmente un tutto organico. È impossibile scinderla nei suoi componenti, perché ha in sé una gerarchia complicata. Possiede al proprio interno una discontinuità.

È possibile costruire una cosa, passo dopo passo, solo se è un processo continuo. Se nella struttura c’è una discontinuità, non si può edificare passo dopo passo. E questo rende improbabile la creazione di una macchina conscia. Da qui il mio secondo teorema dell’impossibilità: è impossibile costruire un computer conscio in laboratorio. Vediamo se i materialisti riusciranno a risolvere questi due problemi: se sì, tanto di cappello. Accetterò il materialismo.


Consapevolezza e materia: secondo lei, c’è davvero una contrapposizione?

No: e il punto è proprio questo. La consapevolezza è il fondamento di tutto l’essere, inclusa la materia. La materia consiste di onde di possibilità tra cui la consapevolezza può scegliere. Considerando le cose in questo modo, si possono spiegare anomalie come l’effetto osservatore, paradossi come quello della misurazione quantica e molti altri ancora. Prima ho cominciato a spiegare il paradosso della percezione. Tutte queste cose possono essere spiegate benissimo dalla nuova scienza. Di fatto, stiamo assistendo alla nascita di una scienza libera da paradossi, a patto che cominciamo a lavorare con l’idea che la consapevolezza è il fondamento di tutto l’essere.”


Marianna Gualazzi

Laureata in Lettere Moderne, giornalista pubblicista, lavora da oltre dieci anni per il Gruppo Editoriale Macro in qualità di editor e di content manager per l'editoria periodica cartacea e per il web.Ha scritto decine di articoli di ecologia, salute naturale, gravidanza e parto consapevoli, alimentazione vegetariana e vegana, nuove scienze.




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